Brand Equity: i valori di una marca per una marca di valore
Brand Equity: i valori di una marca per una marca di valore
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Quotidianamente, risalta agli occhi di tutti gli studiosi di economia d’impresa, l’importanza del capitale di marca tant’è vero che, in un mondo dominato da fusioni ed acquisizioni, le marche ed il loro portafoglio divengono oasi di valore e stabilità, solido punto di ancoraggio e riferimento per cui, si ha un passaggio da una visione di brand come strumento da utilizzare nelle politiche di comunicazione e prodotto, al concetto di Brand-Equity, come risorsa fondamentale da gestire per accrescere il patrimonio dell’impresa.
Pertanto, in un’ottica di RBM Resource-Based Management (che ha come obiettivo-cardine l’accrescimento del patrimonio di risorse esistenti sfruttando quelle a disposizione), la generazione della Brand Equity necessita di un’attenta e mirata gestione manageriale.
Quindi, assumendo come fondamento la prospettiva del RBM, per la generazione del valore della marca, l’impresa deve individuare, di primo acchito, gli elementi che costituiscono la risorsa e poi attivare i processi d’alimentazione della stessa.
Risulta opportuno in questa sede dare una definizione del concetto di Brand Equity, sapendo che non esiste, in letteratura, una definizione comunemente accettata e condivisa.
L’unico aspetto che devi tenere a mente, nel fare questo percorso di brand management assieme a noi, è quello di adottare le giuste strategie di branding per accrescere il valore del tuo brand/della tua marca se quest’ultima è poco nota o se è stata lanciata da poco sul mercato.
Partendo da questo incipit, possiamo illustrarti i quattro principali filoni teorici che hanno trattato questo argomento in modo approfondito.
Brand Equity: 4 teorie
Quattro filoni di studio per la brand equity
A partire dagli anni 80, quattro sono stati i filoni di studio che hanno analizzato il valore della marca (equity) e hanno provato a darne anche una definizione, mettendone in risalto gli asset valoriali e gli aspetti quantitativi sul reale valore di un brand.
Brand Equity come performance di marca
Studi di Interbrand e Kapferer
L’obiettivo di tali studi è orientato alla rappresentazione contabile del marchio nei bilanci aziendali per stimare il valore economico dell’impresa nel modo più obiettivo possibile.
Per Interbrand, nel compiere una valutazione della marca, bisogna considerare la sua “forza” in base al suo posizionamento, ad uno studio attento del mercato, della concorrenza, delle vendite, dei rischi connessi al marchio; tali informazioni vengono utilizzate per costruire un indice che indichi la forza della marca, considerando sette fattori:
- la leadership del mercato;
- la longevità della presenza nel mercato;
- le caratteristiche del mercato;
- il trend nelle vendite;
- il sostegno (in termini di investimenti) dell’impresa;
- la protezione del nome/logo;
- il grado di internazionalizzazione della marca [Vicari et al.,1995].
Brand Equity come premium price
Considerata come una risorsa che conferisce un premium price ai prodotti e servizi di un’azienda
Il secondo filone di studi “analizza l’effetto differenziale della risorsa sulla performance aziendale” [Vicari et alii, 1995] e l’obiettivo è quello di vedere come l’utilizzo del brand influenzi i risultati dell’azienda e come indicatore viene utilizzato il premium price.
Questo è un momento fondamentale perché tra prodotti concorrenti, a parità di prestazioni offerte, il fatto che io sia disposto a pagare un premium price per avere un prodotto o servizio significa che riconosco nel management la capacità di valorizzare le risorse aziendali attraverso la creazione di un brand forte.
Brand Equity come risorsa strategica
L’equity della marca è una risorsa strategica
Abbiamo poi una terza prospettiva che considera l’equity della marca come una risorsa strategica delle imprese ovvero come “un’insieme di attività e passività legate al marchio che accrescono o diminuiscono il valore di un prodotto o servizio per l’impresa e/o per i clienti di quell’impresa” [Aaker, 1989]; secondo quest’ottica, l’analisi si basa sulle risorse e capacità aziendali a lungo termine e non su misurazioni finanziarie di breve periodo.
Aaker è stato il primo studioso ad analizzarla in un’ottica customer based ovvero considerando le risorse che un’impresa crea, utilizzando la marca.
Sullo stesso piano si pongono gli studi condotti da Keller nel 1993: l’autore analizza gli effetti della marca sul consumatore ed elabora un modello concettuale riguardante la “customer based brand equity” che viene definita come “l’effetto differenziale che una conoscenza della marca ha sulle risposte dei consumatori alle politiche di marketing di tale marca” [Keller, 1993].
Egli, con tali affermazioni, ha sostenuto che una marca avrà una equity positiva (o negativa) se il consumatore reagisce favorevolmente (o in maniera non favorevole) agli elementi del marketing-mix, rispetto a quando lo stesso mix viene utilizzato per una versione “immaginaria” del prodotto/servizio, contrassegnato con un altro marchio o senza marchio [Vicari et alii, 1995].
Brand Equity in ottica RBM
Brand Equity è una risorsa di fiducia
Si suggerisce quello di Pamela Adams, secondo cui si studia, in un’ottica RBM, il valore della marca sotto due punti di vista specifici e differenziali rispetto agli studi condotti in precedenza:
- viene accettato il concetto di brand equity come risorsa strategica respingendo la sua misurazione in termini di risultati economici, di breve e lungo periodo; infatti, secondo l’approccio RBM, la creazione di valore non dipende dalla produzione o dai flussi di reddito, ma dalle potenzialità accumulate nelle risorse che sono in grado di generare flussi positivi.
- Il valore della marca non è soltanto frutto della miriade di rapporti customer-based ma deriva anche dalla fitta rete di relazioni che un’impresa instaura con soggetti esterni all’organizzazione, includendo in tale categoria i fornitori, gli intermediari, la rete di vendita e i concorrenti [Vicari et al, 1995].
Pertanto la Brand Equity è una delle risorse di fiducia più significative a disposizione dell’impresa dove, per risorse di fiducia, s’intende “risorse basate su modelli cognitivi di altri soggetti” [Vicari, 1995].
Cosa è la brand equity?
Gli elementi che compongono l’equity della marca
Per quel che riguarda la Brand Equity, “lo schema cognitivo è strettamente connesso al marchio e serve a ridurre l’incertezza dello scambio in modo alternativo alla produzione di informazioni” [Vicari et al., 1995]; quindi, comprendere appieno le dimensioni di tale schema cognitivo, ci permette di sapere cosa serve per poter generare la risorsa. Tre sono i suoi elementi fondamentali:
- La conoscenza della marca;
- La fedeltà della clientela;
- La rete di relazioni coi soggetti esterni all’impresa [Vicari et al.,1995].
La conoscenza della marca è definita in base a due elementi:
- la notorietà di marca (Brand Awarness)
- e l’immagine di marca (Brand Image);
Brand Awarness
La notorietà di marca (brand awarness) e le sue componenti
La notorietà è strettamente collegata alla memoria del consumatore, infatti indica la capacità di quest’ultimo nell’identificare il marchio e relazionarlo ad una determinata categoria di prodotto e rappresenta la facilità con cui un determinato brand viene ricordato dal consumatore. Ha due dimensioni:- brand recognition: è la capacità del consumatore di riconoscere all’istante una marca che gli viene presentata;
- brand recall: è la capacità del consumatore di richiamare alla mente una marca dopo aver sentito parlare di una determinata categoria di prodotti o di bisogni.
Brand Image
L’immagine di marca (brand image) e le sue componenti fondamentali
Risulta che, per sviluppare un’immagine di marca, bisogna creare la notorietà che ne rappresenta una condizione fondamentale; infatti, grazie alla notorietà, una marca viene compresa nell’insieme delle marche da comparare in sede d’acquisto.
L’immagine di marca, seconda componente della conoscenza della marca, può essere definita come “costrutto percettivo sintetico del consumatore, ottenuto attraverso un processo di generalizzazione e di astrazione consistente in un’attribuzione di valenze e significati alla marca oggetto di considerazione” [Busacca, Troilo, 1992].
L’immagine è strettamente connessa a tutte quelle attività connesse al marchio e non solo dalle politiche di comunicazione attuate dall’azienda.
Così come la notorietà, anche l’immagine di marca ha diverse componenti:
- la dimensione identificativa: caratterizzata da tutte le caratteristiche distintive (nome, logo, attributi funzionali) che permettono al consumatore di distinguere una marca dalle altre;
- la dimensione valutativa: indica tutte le valenze che un consumatore attribuisce ad una determinata marca, dopo averla identificata;
- la dimensione fiduciaria: indica la certezza del cliente che ogni manifestazione inerente allo stesso brand abbia le medesime valenze.
Sono proprio queste valenze ad economizzare in termini di tempo le scelte d’acquisto del consumatore.
In conclusione, la conoscenza della marca è un potenziale generativo delle risorse aziendali per diversi motivi:
- la notorietà è il primo step per la formazione di un’immagine positiva e quindi per creare proficue relazioni con i diversi soggetti esterni all’impresa;
- la brand image è il ponte tra attributi tangibili ed intangibili di marca e benefici funzionali e socio-psicologici della domanda;
- l’immagine è un fattore di differenziazione delle preferenze della domanda e consente alle aziende di difendere la propria offerta dagli attacchi della concorrenza.
Brand Loyalty
La fedeltà alla marca è il rapporto di fiducia che la marca instaura coi propri consumatori ed è una vera e propria barriera all’entrata
La fedeltà alla marca è definita come “l’adozione sistematica da parte dell’acquirente della medesima alternativa d’offerta derivante da un preciso atto di volontà, a sua volta riconducibile all’esistenza di una struttura di preferenze gerarchicamente ordinata a livello di singole marche” [Busacca, 1990].
Si può notare come il concetto di fedeltà è strettamente connesso alle azioni e alle esperienze dirette del consumatore con il marchio.
Infatti, i clienti fedeli sono meno sensibili all’azione erosiva della concorrenza e proprio per questa ragione, la fedeltà contribuisce alla brand equity mediante una vulnerabilità competitiva più bassa perché quando gli acquirenti sono fedeli sono meno sensibili all’offerta della concorrenza.
La fedeltà costituisce così una vera e propria barriera all’entrata perché, convincere clienti fedeli a cambiare marca è un processo molto lungo e costoso che riduce la redditività della nuova impresa entrante.
Infatti, un’azienda che faccia leva sul brand loyalty, è in grado di sostenere minori investimenti di marketing, perché i costi per “coccolare” i clienti fidelizzati sono minori di quelli sostenuti per attirarne di nuovi e, inoltre, è in grado di estenderla ad altri prodotti contenendo i costi.
Infine, è necessario menzionare le relazioni che s’instaurano tra conoscenza della marca e brand loyalty: un parco di clienti fedeli può essere impiegato per creare notorietà a livello di marchio e per infondere messaggi positivi a nuovi clienti potenziali che saranno sicuramente attratti dall’immagine di successo di quella marca che presenta un cospicuo numero di consumatori fedeli.
Brand Equity e le relazioni
Ogni azienda in un determinato ambiente competitivo, mediante la propria marca, instaura relazioni con soggetti esterni quali fornitori, concorrenti, forza vendita etc.
La terza ed ultima componente della Brand Equity è data dalle relazioni che si instaurano con i soggetti esterni all’impresa; in un contesto ambientale caratterizzato da elevata complessità, assumono una criticità elevata tutte le relazioni che l’impresa instaura, mediante la marca, con altri soggetti quali, fornitori, concorrenti, clienti, la distribuzione, i conferenti capitale di rischio e la comunità finanziaria.
Tali relazioni hanno assunto un peso fondamentale perché è divenuto critico il trasferimento di valore al cliente.
Basti pensare alle marche sconosciute che, cercano canali di distribuzione con immagine positiva e conosciuta, per poter essere accettate dai consumatori.
Quindi, grazie a tali rapporti, si possono ottenere molti vantaggi quali:
- l’impresa è in grado di avere accesso diretto a nuove applicazioni e nuovi mercati riuscendo così a raggiungere nuove fonti di vantaggio competitivo e soprattutto nuova conoscenza inerente al cliente e al suo universo: basti pensare alle alleanze impresa-distribuzione che permettono alle aziende di conoscere a fondo il consumatore e le sue abitudini e i suoi comportamenti di fronte ai messaggi pubblicitari;
- raggiungere nuove fonti di innovazione e conoscenza, mediante le collaborazioni tra impresa e comunità scientifiche come università, laboratori, centri di ricerca: questo tipo di accordi, ha permesso a molte imprese di introdurre delle novità, grazie ai marchi, con una velocità maggiore rispetto ai concorrenti;
- la possibilità di ridurre i costi: ad esempio riducendo il personale di marketing e rivolgendosi a società di consulenza esterne;
- sviluppare relazioni con le comunità finanziarie permette alle imprese una maggior flessibilità nella gestione manageriale; fornire a tali comunità maggiori e più dettagliate informazioni inerenti i propri marchi, consente alle aziende di perseguire strategie di lungo periodo, pur sostenendo elevati costi nel breve;
- infine, le relazioni rafforzano le dimensioni della Brand Equity e proteggono le marche da problemi gestionali.
Libri consigliati per capire il brand e comprendere l’importanza del valore della marca nelle strategie di branding
Abbiamo deciso di condividere con voi, un paio di libri che possono tornarvi utili per la vostra formazione e che noi consultiamo sempre. Sono linfa vitale per il nostro lavoro e la nostra cultura professionale.
“Marketing Strategico” del Prof. Enrico Valdani e Fabio Ancarani, edito da Egea
“Brand Equity” di David Aaker, edito da Franco Angeli