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Strategie di marca e personal branding sono due facce della stessa medaglia: il tuo brand. Ti spiego perché!

Strategie di marca e personal branding sono due facce della stessa medaglia: il tuo brand. Ti spiego perché!

Entriamo nel vivo del nostro lavoro parlando di branding, strategie di marca efficaci e di personal branding.

Oggi la mente del consumatore (divenuto consum-attore perché dispone di tutte le informazioni che gli permettono di compiere una ponderata scelta d’acquisto tra un prodotto ed un altro) è sovraffollata e bombardata da immagini, prodotti, aziende, pubblicità, simboli, bisogni ed esigenze.

Sono proprio i bisogni (se non l’avete mai letto, vi suggeriamo caldamente di documentarvi sulla Teoria dei Bisogni di Maslow) che spingono il consumatore a scegliere tra un prodotto ed un altro, per porre fine a questo stato di insoddisfazione profondo.

Ed è proprio in questo preciso istante che entra in gioco la marca perché il consumatore sceglierà, tra le infinite possibilità che offre il mercato, il brand che più incarna il suo sistema di valori e sentimenti.
Quindi la marca altro non è che il veicolo principe attraverso cui le aziende trasferiscono i propri valori in testa alla classifica delle percezioni del consumatore. Chi acquista oggi, non acquista solo un semplice prodotto (soprattutto quando si tratta di scegliere tra prodotti che rientrano tra le marche premium price) ma acquista valori, sentimenti, aspirazioni e soprattutto la soddisfazione del proprio ego e del proprio self-esteem.

La marca cosa è? Ecco una semplice definizione di brand

Innanzitutto cominciamo a dire che la marca è un asset intangibile e fa parte del patrimonio genetico e strategico di un’azienda.

Secondo Kotler, il padre di tutti coloro che si occupano e lavorano nel marketing, il brand altro non è che:

“Nome, termine, simbolo, design o una combinazione di questi che mira ad identificare i beni o i servizi di un’impresa o di un gruppo di imprese, e a differenziarsi da quelli dei concorrenti” [Kotler, 1993].

Quindi il brand altro non è che un nome e un simbolo distintivo che serve ad identificare i beni e servizi di uno o più venditori e a differenziarli da quelli di altri concorrenti. La marca segnala al cliente l’origine del prodotto e costituisce sia per il compratore che per il produttore, una protezione dalla concorrenza, qualora tentasse di fornire un prodotto apparentemente identico.
Pur essendo elemento intangibile, racchiude in sé questi elementi:

  1. il nome o brand name;
  2. il simbolo o il logo;
  3. il suo slogan;
  4. il packaging.

Naming: il brand name di una marca

Il nome è l’indicatore cardine della marca, è il fondamento della notorietà (brand awarness) e della comunicazione e la sua peculiarità è quella di descrivere il prodotto mediante associazioni valoriali. La scelta e la formulazione del nome di una marca in fase di naming è un momento critico: quando scegliamo un nome, assegniamo una buona o cattiva sorte ad un’azienda e ad un progetto/prodotto.

Dare un nome non significa solo sceglierlo, ma significa colpire la sensibilità di un consumatore, inducendolo ad adottare o rifiutare un determinato prodotto o una marca [Ruggeri, 2003]. Quindi la componente verbale di un brand è un momento critico. Diverse e infinite le possibilità che avrete e che potete usare. Qui le diverse alternative tra cui poter scegliere:

  • denominazione composta da una sola parola;
  • denominazione composta da più parole, presentandosi con strutture differenti;
  • denominazione composta da numeri (marche numeriche);
  • sigle.
Brand Naming: scelta del nome di una marca

Brand name composto da una sola parola o da più parole composte

Diverse possibilità che avrete a disposizione, utilizzando una sola parola:

  • A) nome proprio:
    1) patronimico: Pirelli, Barilla, Porsche, Ferrari, Lamborghini;
    2) mitologico: Aiax, Clio
    3) geografico: Mont Blanc, Superga, Philadelphia;

  • B) parole di vocabolario:
    1) nome comune: Vespa, Malizia;
    2) aggettivo: Perugina;
    3) verbo: Wuoi;
    4) avverbio: Versus;

  • C) parole senza significato:
    – denominazione arbitraria: Arval, Yaris;
    
- nome somatizzato: Swatch, Technics;
    – onomatopea
    : CocoPops, Smac.

La marca può essere composta da più parole:

  1. frasi corte: Stira e Ammira;
  2. motto: Forza Italia, Liberi e Uguali;
  3. gruppo di parole: Mulino Bianco, Club Med;
  4. giustapposizione di nomi: Colgate, Palmolive.

Potete utilizzare lettere e cifre (c.d. marche numeriche) per identificare un prodotto: un esempio è dato da Peugeot 306.
La marca può essere una sigla: un brand può essere una contrazione di nome oppure di una ragione sociale: ad esempio A.R.C.I. (Associazione Culturale Ricreativa Italiana).
Prestate sempre attenzione nella scelta del nome e delle connotazioni che può avere un brand in altri Paesi. Simpatico (per chi legge) l’esempio dato da Toyota MR2: la lettura di questa sigla nella lingua francese evoca connotazione e significati non propriamente automobilistici. È buona norma far analizzare foneticamente il nome facendo dei test di mercato, per evitare di incappare nell’errore di Toyota e della sua sportiva MR2 perché ciò che in Italia ha un significato positivo, in altri Paesi può avere:

  • significati gergali osceni
  • cattive implicazioni politiche o religiose

Se volete creare un brand naming globale dovete seguire 3 criteri:

  1. grafia: scegliere un nome facilmente leggibile e compreso all’istante;
  2. fonetica: scegliere suoni semplici, facili da ascoltare e riprodurre;
  3. significato: scegliere naming che ricordino solo connotazioni positive di significato.

Dopo aver seguito questi spunti, dovete lavorare sul vostro logotipo, sul simbolo e sul pay-off (slogan).

Brand: creazione del logotipo e scelta dello slogan

Il simbolo (logotipo) e il pay-off (slogan): elementi visivi e verbali della marca che caratterizzano la brand identity di un’azienda o di un prodotto

In una determinata categoria merceologica può accadere che aziende e prodotti si assomiglino un po’ tutti.
Per evitare questa omologazione di prodotto/brand legata al medesimo territorio competitivo di marca, bisogna fare leva su un elemento differenziante: il simbolo.
Come sosteneva Samuel Taylor Coleridge in Biographia Literaria, “Un’idea, nel significato più alto di questa parola, si può comunicare soltanto mediante un simbolo”. Questa citazione è calzante per tutto ciò che vogliamo comunicare di un brand/prodotto: il simbolo, il logotipo, l’elemento segnico di una marca (nome+simbolo) è la summa sintesi del sistema di offerta di un’azienda. Attraverso il logotipo si può identificare una determinata categoria di prodotti, attraverso il simbolo rappresentativo di un brand, possiamo attivare nella testa dei consumatori un universo fatto di valori e connotazioni, positive o negative a seconda dell’esperienza legata all’acquisto o all’uso di un determinato prodotto o servizio.
Risulta fondamentale l’identificazione e la scelta di un simbolo distintivo per la nascita di un logotipo perché attraverso il segno visivo noi decretiamo il successo o l’insuccesso di un brand, la fedeltà alla marca (brand royalty) e la percentuale di ricordo di un brand (brand recall se è Top of Mind o meno) nella testa dei consumatori. Il simbolo è fondamentale (si pensi al forzuto marinaio di Mastro Lindo per esempio) e la sua scelta è cruciale; diverse le considerazioni da fare in merito riguardo al simbolo; esso deve:

  • essere unico: non sfruttabile dai concorrenti
  • riflettere l’associazione positiva simbolo-prodotto
  • essere interattivo e riflettere i valori della categoria merceologica di appartenenza del prodotto;
  • permettere un miglioramento (brand upgrading) quando diviene datato: questo per metterlo al riparo da usi sleali o connotazioni negative;
  • essere salvaguardato nel tempo.

Accanto al binomio brand name – simbolo è bene associare una connotazione aggiuntiva: il pay-off o slogan. Lo slogan ha grande importanza perché rispecchia le strategie di posizionamento (product positioning e brand positioning) di una marca all’interno di un contesto operativo e competitivo (brand territory). A cosa serve uno slogan e come possiamo renderlo utile ai nostri scopi?

 

Ronaldo per la famosa pubblicità di Pirelli "La potenza è nulla senza controllo"

Ecco un esempio calzante di payoff: “Pirelli: la potenza è nulla senza controllo”

Vi parliamo di una marca rappresentativa di un’intera categoria merceologica e rappresentativa del brand heritage legato al “made in”: Pirelli. Non vogliamo dirvi con le azioni Pirelli cosa fare, non è nostro compito né competenza anche perché non ci occupiamo di finanza aziendale. Vogliamo però raccontarvi una bellissima storia di successo. Fondata nel 1872, da Giovanni Battista Pirelli, a Milano, il brand Pirelli rappresenta oggi secoli di storia e successi. Leader nelle produzioni di pneumatici nel settore sportivo e automotive in generale, oggi questa marca ha una posizione forte di brand leadership soprattutto nel settore Prestige. Il merito di tutto ciò è legato alla produzione di prodotti straordinari associati a campagne pubblicitarie fenomenali. “La potenza è nulla senza controllo” il payoff per eccellenza di qualche anno addietro. Ricordate? Il legame tra sportività, forza, potenza e controllo; questo per indicare in modo preciso una cosa: puoi avere potenza e cavalli nel motore, la tua auto può correre più veloce di tutte le altre, ma se non hai la possibilità di controllare tutto questa forza con i giusti pneumatici, rischi la vita. Pirelli ha associato il claim a Carl Lewis, il figlio del vento e a Ronaldo, il fenomeno, ex giocatore nerazzurro. Visual molto forti che facilitano il ricordo del brand (brand recall), pay-off dal forte impatto che mettono in risalto la caratteristica del prodotto: la sicurezza e il controllo del veicolo grazie a pneumatici che ti facilitano in tutte le occasioni, dalla pioggia e l’aquaplaning, con un grip straordinario. Inutile dirvi che i testimonial utilizzati (noi siamo quasi sempre contrari all’utilizzo di personaggi famosi per rappresentare una marca) hanno trasferito il loro talento alla marca in modo naturale (brand tranfert).
Carl Lewis per il brand Pirelli e il claim "La potenza è nulla senza controllo"

Il packaging: contenitore del prodotto, la promessa di una marca

Il packaging è il contenitore di tutte le promesse che una marca fa ai propri consumatori: puoi utilizzare tutte le scatole più belle del mondo, creare i packaging migliori, utilizzare carte pregiate se però il prodotto non è all’altezza delle promesse fatte dalla marca, vengono meno tutti gli sforzi di marketing compiuti. Il packaging quindi deve:
  • attirare l’attenzione, differenziando il prodotto dalla concorrenza, soprattutto nelle gondole di un supermercato;
  • illustrare il prodotto;
  • fornire istruzioni d’uso
  • rassicurare l’utente, creando fedeltà!
Questi sono gli elementi di base fondamentali di un brand che vuole operare in mercati competitivi. Ma, parafrasando lo slogan Pirelli, “La marca non rappresenta nulla senza un solido piano d’azione strategico”. Quindi, quali sono le strategie di marca che possiamo adottare?
Strategie di branding che fanno aumentare il brand equity di una marca

Strategie di Branding: un insieme di strategie per aumentare il brand equity della vostra marca

Avete un brand e volete aumentare il valore della marca (brand equity), per poter far questo dovrete attuare le giuste strategie di branding. In passato l’imprenditore/Ceo/brand manager era solito gestire un’unica marca legata ad un solo prodotto (visione classica del branding) in un solo mercato. Oggi i brand manager devono fronteggiare contesti iper-competitivi, con un portafoglio di marche ampio, a cui sono legati prodotti diversissimi e appartenenti a settori differenti e mercati Paese differenti. Quindi come possiamo ottimizzare un brand portfolio da un punto di vista strategico? Un libro che vi suggerisco di leggere è scritto da David Aaker “Brand Equity”, cui ci ispiriamo per il nostro lavoro, il quale afferma che oggi, il lavoro del brand manager è cambiato rispetto al passato perché, rispetto a decenni addietro, è costretto a fronteggiare una concorrenza spietata, utenti finali competenti e informati, prodotti succedanei, attacchi frontali e laterali da parte di concorrenti del medesimo o di altri settori. Gestire una marca per preservarne il valore e incrementarne l’equity, non è impresa semplice: bisogna essere in grado di gestire un brand portfolio ampio. Il ruolo di questa figura all’interno di un’azienda multibrand è importantissimo perché il brand manager deve essere in grado di gestire le estensioni, capire quali sono i mercati più profittevoli e soprattutto deve avere una visione strategica ampia in grado di tutelare l’identità di marca.

Cosa sono le strategie di estensione di una marca e a cosa servono?

Le strategie di branding di estensione si fondano “sull’utilizzo di marche esistenti per fare ingresso in nuovi ambiti competitivi” [Vicari, 1995]. Sembrerebbe troppo riduttivo dare una definizione così sintetica, quindi è più opportuno identificare le diverse tipologie d’estensione a disposizione di un’impresa. Le estensioni della portata di una marca sono di due tipi:
  1. Estensioni orizzontali o strategie di brand-extension: per avviare un processo di estensione orizzontale bisogna chiedersi se la marca che deve essere estesa orizzontalmente, è in grado di adattarsi ai nuovi contesti mantenendone il ruolo guida pertanto la marca “dovrà migrare nei contesti in cui essa è adatta, nei quali essa aggiunge valore e crea nuove associazioni che ne aumentano a loro volta il valore” [Aaker, Joachimsthaler, 2000].
  2. Estensioni verticali o strategie di brand stretching: si adotta uno stretching della linea prodotti quando, sotto l’egida della stessa marca, si ha un aumento della portata della marca (brand range) verso l’alto, nel segmento caratterizzato da prezzo e margini elevati, o verso il basso nel segmento dei prodotti a basso prezzo.
Queste strategie di branding fanno aumentare il potenziale generativo di valore di un brand attraverso:
  1. l’attenuazione dell’nterdipendenza competitiva: l’estensione di una marca genera un trasferimento, in nuovi ambiti competitivi, delle capacità di differenziazione fondate sulla difficile limitabilità;
  2. la diffusività intersettoriale: utilizzando un brand in diversi contesti, si possono raggiungere economie di velocità e vantaggi reddituali sorprendenti;
  3. l’accelerazione dell’apprendimento organizzativo: sono prodotte nuove forme di conoscenza e si apprendono nuove routine di lavoro
Le strategie di estensione devono essere utilizzate con attenzione perché così come differenti sono i vantaggi che si possono acquisire, numerosi possono essere i rischi in cui un’azienda può incappare. Vediamoli assieme

Benefici e rischi legati alle strategie di estensione

Ogni strategia di estensione può generare benefici e rischi che incidono sull’insieme di asset intangibili incorporati nella marca e nelle capacità concorrenziali dell’impresa: sono entrambi di natura patrimoniale perché la marca è una risorsa che genera valore. In quest’ottica i vantaggi potenzialmente acquisibili (i primi due sono di natura patrimoniale mentre gli altri sono di natura specifica) mediante l’estensione del brand sono i seguenti:
  • definizione creativa degli orizzonti competitivi: l’estensione porta un inasprimento della concorrenza perché gli orizzonti competitivi si sono ampliati. Questo porta l’azienda a sperimentare nuovi orizzonti competitivi che le permetteranno di raggiungere nuove tipologie di vantaggio competitivo; Honda, con una sapiente strategia di brand extension, seppe preservare la brand identity, passando con nonchalance dal settore auto al settore dei piccoli tosaerba, passando dalle moto di grossa cilindrata, fino ad arrivare agli scooter
  • potenziamento degli invisible asset della marca: risorse intangibili come fedeltà e immagine di marca, nel caso di un’estensione di successo, si autoalimentano generando un aumento di fiducia nei consumatori che attesteranno al brand una grado di fiducia elevato;
  • barriere commerciali all’entrata facilmente aggirabili: una strategia di brand extension porta ad eludere le barriere commerciali all’entrata come ad esempio la difficoltà di accedere ai canali distributivi. Questi ostacoli, si abbattono se ad estendere la propria portata, è una marca forte.
  • conseguimento di economie di velocità: si abbatte il time to market, ossia la capacità di penetrazione dell’impresa nel mercato nel minor tempo possibile, le strategie di estensione forniscono, in tal senso, un contributo formidabile ovvero mediante la loro attuazione, si è in grado di trasferire con rapidità eccezionale i vantaggi di differenziazione costruiti nel business originario contenendo gli investimenti associati all’ingresso in nuovi ambiti.
  • Consolidamento della posizione concorrenziale dell’impresa: grazie all’estensione del brand, si trasferisce il patrimonio fiduciario incorporato nella marca e tutto ciò facilita l’ingresso in nuovi business strategici a costi contenuti, la flessibilità di manovra in termini d’iniziative contro la concorrenza, il contenimento dei rischi connessi allo sviluppo di nuovi prodotti. Grazie all’utilizzo di tali strategie, si consolida la posizione competitiva dell’impresa perché si riescono a sfruttare tutte quante quelle opportunità connesse all’apertura di finestre strategiche.
I rischi connessi ad una strategia di brand extension sono:
  • perdita della posizione competitiva: può accaderere che un ASA (area strategica d’affari) possa andare in crisi, compromettendo la posizione competitiva di brand leadership;
  • depauperamento dell’immagine di marca circoscritto al nuovo settore, dovuto ad associazioni negative;
  • effetto incrociato di diminuzione di fatturato legato alla cannibalizzazione tra prodotti della stessa marca.
Quindi, prima di adottare una strategia di brand extension, dovete chiedervi:
  • A quali nuovi contesti la mia marca è adatta? Se la marca è molto forte e ha connotazioni estremamente specifiche, difficilmente sarà estendibile in ambiti differenti (si pensi a Mc Donald’s qualora decidesse di entrare nel settore dello sviluppo foto) al contrario, una marca con connotazioni meno specifiche, potrà estendere la propria portata con semplicità.
  • Il mio brand aggiunge valore ai prodotti? Per aggiungere valore ai prodotti, una marca deve rendere più allettante il sistema di offerta e la sola presenza del marchio in un altro settore, deve essere sufficiente a convincere i consumatori che l’offerta è migliore di quella dei concorrenti.
  • L’estensione aumenta il valore della marca? Il brand equity deve essere influenzato in modo positivo dalla presenza della marca in più contesti.
Se le risposte a queste domande sono positive, potete valutare di estendere la portata della vostra marca orizzontalmente. Se volete attuare strategie di brand stretching e cioè estendere la portata della marca verso l’alto (premium price) o verso il basso (low price) dovete fare le opportune considerazioni. Per entrare nel segmento luxury, dovete fare in modo che la vostra offerta sia la migliore dei concorrenti, senza se e senza ma. Dovete valutare inoltre se la vostra marca è in grado di mantenere promesse elevate per i propri consumatori. Se così non fosse, conviene non fare questo passo nel modo più assoluto. Per quel che riguarda le estensioni verso il basso, si potrebbe pensare che si tratti di un processo agevole e privo di pericoli ma in realtà non è così; infatti, l’accesso al mercato economico, potrebbe comportare un pericolo per la reputazione della marca (brand reputation), soprattutto se si tratti di un brand prestigioso che decida di coprire con la propria offerta tutti i segmenti.

Rolex e Tudor: esempio di sapiente strategia di estensione

Rolex rappresenta ricchezza, status, artigianalità e orologi di grande qualità: si tratta di un brand famoso che un bel giorno prese la decisione di coprire il segmento di prodotti a costo leggermente più basso. Per adottare una strategia di brand stretching verso il basso due erano le possibilità: continuare ad utilizzare il brand Rolex rischiando di diluire l’immagine di marca, indebolendola, oppure introdurre un nuovo brand, con una garanzia ombra da parte di Rolex (umbrella brand), nel segmento low-price. Tra le due, si è optato per la seconda, quindi Rolex ha esteso la portata del proprio brand, lanciando sul mercato un nuovo brand, di cui è garante: Tudor. Così facendo, molte delle connotazioni positive legate alla marca Rolex, in virtù della garanzia ombra assegnata alla nuova marca, hanno arricchito di connotazioni positive il brand Tudor: artigianalità, orologi meccanici svizzeri, eleganza, ad un prezzo affordable.
Brand Rolex adotta una strategia di brand stretching verso il basso

Tutto ciò che abbiamo detto sulla marca e le strategie di branding, possono essere applicate per la costruzione di un personal brand?

Adesso vi starete chiedendo se tutte le cose di cui vi abbiamo parlato, possano essere utilizzate per implementare strategie di personal branding. La nostra risposta in questo caso è affermativa perché tutte le considerazioni che potete fare per una marca, le potete applicare a voi e alla vostra persona, al vostro modo di fare business e traslare al vostro personal brand. Dovete fare le giuste considerazioni e soprattutto chiedervi quali sono i motivi per cui un cliente, un fornitore, un datore di lavoro sceglie i nostri servizi e si affida a noi e non ad un concorrente. In base alle risposte che darete a questo interrogativo, farete tutte le analisi del caso: chi sono i miei concorrenti e cosa fanno, qual è la mia unique selling proposition, quali sono i miei punti di forza e debolezza, quali lacune devo colmare etc. Su internet potete scaricare un’infinità di modelli e di canvas da seguire per creare il proprio personal brand in modo efficace.

Libri consigliati per capire e attuare le migliori strategie di branding

Abbiamo deciso di condividere con voi, un paio di libri che possono tornarvi utili per la vostra formazione e che noi consultiamo sempre perché attuali, nonostante siano stati scritti una decina di anni addietro. Sono linfa vitale per il nostro lavoro e la nostra cultura professionale.

“Marketing Strategico” del Prof. Enrico Valdani e Fabio Ancarani, edito da Egea

“Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie – Il senso e il valore della pubblicità” a cura di Marco Lombardi, edito da Franco Angeli

“Marchio” di Roberto Monachesi, edito da Lupetti Editore

“Brand Equity” di David Aaker, edito da Franco Angeli

Per i canvas sul personal branding vi rimandiamo a fare una ricerca su google sui modelli sviluppati da Luigi Centenaro